Le attività della bioeconomia e dell'economia circolare possono svolgere un ruolo importante nella lotta ai cambiamenti climatici contribuendo al contenimento delle emissioni di CO2 e alla rigenerazione della biosfera.
Il riscaldamento globale rappresenta un grave pericolo per i sistemi agroalimentari sia per la produttività che per la riduzione della disponibilità idrica, l’invasione di specie aliene e molto altro.
Il rapporto tra bioeconomia e clima presenta una duplice correlazione: da un lato i benefici di biomateriali, circolari e rinnovabili, sia nel comparto energetico che nel settore industriale del legno, per la chimica verde, la farmaceutica, ecc., mentre dall’altro occorre considerare sia le emissioni di gas serra delle diverse attività della bioeconomia sia gli importanti assorbimenti di carbonio nei suoli, nelle foreste e nei mari.
Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) nel decennio 2007-2016 le attività connesse ad agricoltura, silvicoltura e altri usi del suolo sono state responsabili dell’emissione di circa un quarto delle emissioni antropogeniche globali. Se a queste aggiungiamo anche quelle generate dall’industria alimentare e del trasporto degli alimenti, le emissioni stimate lo portano a essere il primo settore a livello globale per emissioni. Secondo Eurostat a livello UE le emissioni delle attività di agricoltura, silvicoltura e altri usi del suolo si sono ridotte nel corso degli ultimi anni.
L'importanza strategica della biomassa
La biomassa è la prima fonte rinnovabile di energia a livello globale (secondo International Energy Agency, IEA). Tale impiego ha consentito di evitare emissioni in atmosfera che sarebbero invece state generate se questi consumi energetici fossero stati soddisfatti dall’attuale mix fossile. L’utilizzo di materiali di origine biologica permette di fissare l’anidride carbonica contenuta per tutta la durata di vita del prodotto, generando stock di carbonio.
Carbon stock
Serbatoi naturali di carbonio
L’utilizzo di pratiche agronomiche rigenerative, orientate all’aumento del contenuto di carbonio organico nei suoli, così come l’arresto della deforestazione e il controllo delle emissioni degli allevamenti potrebbero fornire un contributo decisivo alla lotta al cambiamento climatico e alla riduzione delle emissioni di gas serra. Un fondamentale indicatore per l’azione di mitigazione climatica della bioeconomia è quello che fa riferimento allo stock di carbonio (la quantità di carbonio fissata nel suolo e nei serbatoi forestali) e alla variazione dello stock di carbonio (carbon sink), che tiene conto sia del carbonio assorbito che di quello rilasciato (emissioni). Il carbonio organico costituisce circa il 60% della sostanza organica presente nei suoli. Il continuo degrado del suolo e della vegetazione rappresenta una importante sorgente di emissioni di gas serra. Le foreste dell’UE, che costituiscono il 42% della superficie europea, giocano un ruolo chiave anche per l’assorbimento di CO2: rimuovono ogni anno circa il 10,4% delle emissioni totali di gas serra dell’UE.
La situazione italiana
Gli stock di carbonio nelle foreste italiane sono in aumento, segnando un bilancio positivo tra le emissioni e gli assorbimenti di gas serra (carbon sink). Ciò è legato da una parte alle politiche di conservazione e di tutela delle foreste, dall’altra, a causa di complessi motivi economici e sociali, a una riduzione del volume dei prelievi legnosi e a una riduzione, nelle zone montuose, dell’uso dei terreni per l’agricoltura e il pascolo.
Conservazione del suolo e benessere del pianeta
Si stima che il suolo contenga il triplo del carbonio dell’atmosfera e più della somma di quello contenuto in atmosfera e nella vegetazione terrestre. La conservazione del suolo e del suo contenuto di carbonio organico è quindi una misura molto importante anche per il clima. Ogni anno circa il 30% della CO2 è assorbita dalle piante con la fotosintesi: se una parte del carbonio di queste piante fosse stoccato nello strato superficiale di suolo, la crescita annua della CO2 in atmosfera potrebbe essere significativamente diminuita. Ciò in parte già avviene, ma in quantità che vanno mantenute e aumentate. Crescente interesse suscitano anche le tecniche di agricoltura circolare e rigenerativa che impiegano diversi tipi di ammendanti del suolo, combinate con pratiche di coltivazione che aumentano la cattura e lo stoccaggio del carbonio organico nei terreni.
Best practice nella bioeconomia agro-alimentare
Secondo JRC queste sono le pratiche che producono i maggiori benefici di riduzione delle emissioni di gas serra e aumento degli assorbimenti di carbonio:
- agro-forestazione: prevede la piantumazione di alberi a integrazione delle colture annuali che sequestrano carbonio nella vegetazione e nei suoli e migliorano la fissazione dell’azoto biologico;
- riduzione della deforestazione e della degradazione delle foreste e incremento del contenuto di carbonio nel suolo: permettono un aumento della capacità di assorbimento del carbonio con conseguente riduzione delle emissioni. L’aumento del contenuto di carbonio nel suolo, rimuovendo la CO2 dall’atmosfera, aumenta la capacità di trattenere l’acqua, migliorando la resilienza ai cambiamenti climatici e la capacità di adattamento;
- produzione di energia rinnovabile per elettricità, calore e carburanti e uso di fonti rinnovabili di energia nelle attività della bioeconomia;
- risparmio ed efficienza energetica nella produzione, nel trasporto, nella trasformazione, nell’imballaggio e nella distribuzione di prodotti alimentari;
- ripristino e mantenimento delle zone umide costiere: ecosistemi naturali con elevate capacità di assorbimento di carbonio;
- riduzione degli sprechi alimentari (in fase di distribuzione e consumo), delle perdite post raccolto, degli scarti e dei rifiuti agricoli e alimentari. La gestione sostenibile del sistema alimentare, dalla produzione al consumo, compresa la perdita di cibo e lo spreco, con la prevenzione della produzione di rifiuti organici, la loro corretta gestione con la restituzione di materia organica ai terreni, produce effetti positivi anche sullo stoccaggio di carbonio nei suoli;
- modifica delle diete: le diete bilanciate, con cibi a base vegetale e alimenti di origine animale prodotti in modo resiliente, hanno effetti di mitigazione oltre che significativi benefici in termini di salute umana. Secondo stime dell’IPPC, i cambiamenti dietetici potrebbero liberare diversi milioni di km2 di terreni;
- prevenzione e gestione degli incendi: una corretta prevenzione e gestione degli incendi riduce le emissioni associate a questi fenomeni;
- miglioramento della gestione dei terreni agricoli con tecniche di coltivazione tese a mantenere e aumentare il contenuto di carbonio organico nei suoli e miglioramenti nella gestione degli allevamenti e del letame per ridurre le emissioni di gas serra, in particolare di metano;
- riduzione della conversione delle torbiere: preservare e ripristinare questi ecosistemi naturali permettono la conservazione sia della biodiversità sia del carbonio.
Per quanto riguarda le fasi dal campo al cancello delle filiere alimentari, le possibilità di intervento contemplano sono sostanzialmente basate sulla riduzione/sostituzione degli input esterni al sistema, l’uso efficiente delle risorse, la riduzione di scarti e rifiuti e il loro riutilizzo e riciclo.
Se ciascuna fase del processo produttivo venisse realizzata secondo i principi dell’economia circolare, l’agricoltura, l’allevamento e l’uso del suolo potrebbero concretamente contribuire a tagliare le emissioni di gas serra fino a un 20% delle riduzioni di emissioni necessarie da qui al 2050. La diminuzione dell’uso di fertilizzanti di sintesi e la loro sostituzione con altre tipologie di prodotti rappresentano una delle strategie chiave ai fini della riduzione delle emissioni di GHG (greenhouse gas, gas serra) che, allo stesso tempo, è in grado di limitare le problematiche relative allo sbilanciamento dell’equilibrio dell’agro-ecosistema e le conseguenti ripercussioni sull’intera filiera agro-alimentare e di conseguenza sulla salute umana.
Cogenerazione
Gli effluenti zootecnici sono caratterizzati da elevate quantità di nutrienti (P, N, K) e di sostanza organica. Il semplice spandimento in campo (adottando pratiche che garantiscano possibili impatti ambientali), rappresenta di per sé una modalità gestionale in linea con i principi dell’economia circolare, dal momento che consente la restituzione al suolo di parte degli elementi nutritivi sottratti allo stesso dalle colture agricole. Tuttavia, l’alternativa rappresentata dall’invio degli effluenti in impianti di digestione agro-zootecnica si è molto diffusa negli ultimi decenni. Nella maggior parte dei casi gli effluenti sono trattati assieme ad altre componenti organiche di origine agricola (colture dedicate, sottoprodotti e altri scarti organici), al fine di produrre energia elettrica e calore dalla combustione del biogas ottenuto in appositi impianti di cogenerazione. È oggi possibile raffinare il biogas a biometano mediante opportuni sistemi di upgrading per poi immetterlo nella rete del gas per un suo impiego come biocarburante in autotrazione; trattamento che, laddove si provveda al sequestro dell’anidride carbonica separata dal biogas in fase di upgrading, può potenzialmente innescare una filiera carbon negative.
Due valide alternative alla concimazione di sintesi ottenute dal recupero di materia organica
Compost
Anche l’impiego del compost costituisce una valida integrazione alla concimazione chimica, soprattutto nelle aree caratterizzate da suoli poveri di sostanza organica. Il compostaggio di materiali altrimenti destinati allo scarto o alla discarica aumenta la fertilità dei terreni agricoli, mettendo a disposizione elementi nutritivi per le colture a un costo economico, ambientale ed energetico generalmente inferiore rispetto ai fertilizzanti di sintesi e aumentando il potere di carbon sink del suolo.
Biochar o carbone di origine vegetale
L’uso del biochar (carbone di origine vegetale) nei terreni agricoli rappresenta un metodo innovativo per aumentare la stabilità del carbonio stoccato nel suolo e combattere il cambiamento climatico limitando le emissioni di CO2. Il biochar conferisce struttura al terreno, anche in terreni pesanti argillosi, migliora le proprietà meccaniche diminuendone la forza di trazione, aumenta significativamente la capacità di campo, fornisce al suolo consistenti quantità di sostanza organica stabile, con una forte capacità di trattenere i nutrienti, diventando così un fattore chiave per la sostenibilità e la fertilità del suolo. Grazie ai miglioramenti del suolo dovuti all’interramento del biochar, anche le rese agricole possono incrementare sostanzialmente e una maggiore fertilità si traduce in una maggiore efficienza fotosintetica, in un maggiore sviluppo della biomassa e, quindi, in un maggiore sequestro di carbonio.
Riciclo di acque reflue
I fanghi di depurazione offrono diverse possibilità di recupero di sostanza organica, nutrienti ed energia, anche in ottica di riduzione degli impatti ambientali conseguenti a eventuali loro gestioni improprie. I fanghi di depurazione possono essere considerati una materia prima secondaria per il recupero di risorse da utilizzare in agricoltura, essendo caratterizzati da discreti tenori di N, P, K e di sostanza organica, elemento che può essere valorizzato in particolare nei terreni agricoli italiani caratterizzati da valori minori o poco più alti del 2%.
In Italia, il riutilizzo diretto o indiretto dei fanghi in agricoltura interessa già il 74% dei fanghi totali prodotti e tale quota appare destinata a incrementare ulteriormente alla luce delle sempre minori possibilità di ricorrere allo smaltimento in discarica (che oggi in Italia interessa ancora il 20% dei fanghi totali prodotti, mentre solo il 6% viene destinato al recupero energetico in impianti di co-incenerimento dei rifiuti o cementifici). Va tuttavia evidenziato che le attuali pratiche di impiego dei fanghi in agricoltura assumono spesso i connotati di uno smaltimento piuttosto che di un vero e proprio riutilizzo in linea con i principi dell’economia circolare. A tale riguardo, quindi, appaiono sempre più urgenti strategie sostenibili di gestione dei fanghi di depurazione, che includano anche processi innovativi in grado di favorire la valorizzazione in agricoltura dell’elevato contenuto di carbonio, elementi nutrienti (principalmente azoto e fosforo) ed energia. Il riutilizzo irriguo delle acque reflue depurate, che si inserisce all’interno delle strategie di gestione razionale della risorsa idrica in agricoltura improntate al risparmio e riutilizzo in accordo con i princìpi di economia circolare, permette di ridurre la pressione in termini di prelievi della risorsa idrica superficiale e sotterranea, consentendo di disporre di una fornitura continuativa meno esposta ai fenomeni climatici, contribuendo a mitigare i conflitti tra diversi usi e ad attenuare anche gli impatti sullo stato qualitativo dei corpi idrici e dei suoli. Con la recente approvazione e pubblicazione, nel maggio 2020, del Regolamento (EU) 2020/741 è stato infatti sancito e promosso il riutilizzo agricolo “diretto” delle acque reflue urbane depurate in condizioni sicure che, oltre ai benefici in termini di approvvigionamento idrico, garantisce anche il riciclo di elementi nutrienti in parziale sostituzione dei concimi chimici, in linea con il pacchetto d’azione dell’UE per l’economia circolare.
Diverse sono le possibilità per rendere i prodotti della bioeconomia efficienti sotto il profilo dell’uso delle risorse e quindi rispondenti ai principi di neutralità climatica e di circolarità.
Gestione dello spreco alimentare
Se il 20% dei terreni agricoli in Europa venisse coltivato secondo criteri biologici si eviterebbe l’immissione in atmosfera di 92 MtCO2 ogni anno. In accordo con tale indicazione, i risultati di uno studio scientifico focalizzato sull’analisi di diversi scenari di ottimizzazione all’interno di un’azienda agricola mostrano che l’eliminazione dei fertilizzanti chimici risulta essere una delle strategie migliori ai fini della riduzione degli impatti ambientali.
Considerato che circa un terzo del cibo prodotto a livello mondiale diviene direttamente rifiuto, che circa il 20% del cibo totale prodotto viene perso o sprecato nell’UE e che un 30-50% circa di questo spreco è generato dai consumatori finali, risulta di fondamentale importanza l’implementazione di strategie volte alla promozione di abitudini alimentari più sane e sostenibili, alla prevenzione (attraverso cambiamenti culturali e comportamentali) e gestione dello spreco alimentare e al riciclo degli scarti e residui organici non più destinati all’alimentazione. Secondo stime della FAO, a livello globale, lo spreco alimentare determina all’incirca 3,6 GtCO2eq di emissioni ogni anno, mentre alle perdite di cibo sono associabili 1,5 GtCO2eq. Tenendo conto dell’evoluzione della popolazione e dei fabbisogni alimentari a livello globale, secondo uno studio del World Resources Institute, nutrire 10 miliardi di persone in modo sostenibile entro il 2050 mantenendo il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C richiede un divario di mitigazione di 11 Gt di gas serra. Una riduzione delle perdite e degli sprechi di cibo del 25% permetterebbe di colmare il 15% di tale divario.
In altre parole, diminuire del 25% perdite e sprechi alimentari a livello globale permetterebbe di ridurre le emissioni di gas serra di circa 1,65 Gt.
Una dieta più sostenibile
Lo stesso studio calcola che il passaggio a diete più sane e sostenibili, limitando il consumo di carne di ruminanti a 52 calorie per persona al giorno entro il 2050 (circa 1,5 hamburger a settimana), ridurrebbe invece della metà il divario di mitigazione di GHG. Analogamente in uno studio della Ellen MacArthur Foundation è stimato che il passaggio a un’economia circolare nel settore alimentare nelle città potrebbe portare a un risparmio annuo di emissioni di gas serra pari a 4,3 GtCO2eq.
La situazione europea
A livello europeo si stima invece che le emissioni associate allo spreco alimentare siano dell’ordine di 245 MtCO2eq e che l’implementazione di attività circolari tali da ridurre del 50% la quantità di rifiuti prodotti – in accordo con l’obiettivo delle Nazioni Unite al 2030 – possa generare un taglio di circa 61 MtCO2eq. Inoltre, un passaggio a diete più sane con meno carne rossa potrebbe ridurre le emissioni di circa 20-50 MtCO2eq all’anno. Quindi, assumendo livelli di consumo alimentare stabili, l’insieme di pratiche di circolarità potrebbe portare a una riduzione totale delle emissioni dell’ordine di 81-111 MtCO2eq all’anno. In linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile, la Commissione europea nell’ambito del piano di sviluppo per l’economia circolare (COM/2015/0614) ha stabilito l’obiettivo di dimezzare lo spreco di cibo in fase di vendita al dettaglio e consumo e di ridurlo lungo l’intera filiera entro il 2030. Tale intento è ribadito anche all’interno della direttiva sui rifiuti (Direttiva 2018/851) e della UE Farm-to-Fork Strategy (COM2020/381), che affronta l’intera catena alimentare. La Commissione valuterà inoltre misure specifiche per aumentare la sostenibilità della distribuzione e del consumo di cibo.
Alcuni esempi indicativi per l'Italia
- Produzione di beni alimentari – Utilizzo di fertilizzanti
In Italia, nel 2019, rispetto al totale dei fertilizzanti distribuiti, circa il 41% è rappresentato dai concimi minerali, il 31% dagli ammendanti, il 14% dai concimi organici, il resto dagli elementi correttivi. Focalizzando l’attenzione solo sui concimi e, in particolare, sull’impatto associato alla loro produzione (trascurando, quindi, tutte le emissioni dirette di gas serra derivanti dall’applicazione in campo degli stessi), è possibile stimare che le emissioni associate allo stato attuale sopra descritto siano pari a circa 6.344 t CO2eq/anno. Ipotizzando che, in ottica di promozione di un’agricoltura sostenibile, il 50% dei concimi minerali di sintesi venga sostituito da concimi organici e organo-minerali, è possibile calcolare una riduzione delle emissioni del 38% circa rispetto allo scenario attuale, con un valore annuale di impatto stimato in circa 3.956 t CO2eq/anno.
- Abitudini alimentari – Diete più sane
Considerando le attuali abitudini alimentari nel nostro Paese, l’impatto di una singola persona può essere stimato in circa 5,4 kgCO2eq/giorno, ovvero in circa 1,97 tCO2eq/anno. Un cambiamento delle abitudini alimentari orientato verso l’adozione di diete più sane consente di ridurre in maniera apprezzabile questo impatto in termini di gas serra. In particolare, semplicemente immaginando di sostituire le carni rosse con carni bianche o di adottare una dieta mediterranea, è possibile stimare che le emissioni di una singola persona si riducano a 4,7 kgCO2eq/giorno, per un totale di circa 1,71 tCO2eq/anno, con un calo del 13% circa rispetto allo stato attuale. Il passaggio a una dieta vegetariana consentirebbe invece di ridurre l’impatto indicativamente a circa 4,1 kg CO2eq/giorno per persona, ovvero a circa 1,49 tCO2eq/anno, con un calo del 25% circa rispetto allo stato attuale.
- Spreco alimentare – Riduzione dei rifiuti domestici
In Italia, lo spreco alimentare delle famiglie nel 2020 è stimato in circa 6,5 miliardi di euro, con uno spreco settimanale medio di 4,9 euro a nucleo familiare. Stimando in circa 28 kg la quantità di cibo che nel nostro Paese ogni persona spreca in un anno, considerando le attuali modalità di trattamento dei rifiuti organici, è possibile quantificare che ogni italiano è responsabile dell’emissione di 3,92 kgCO2eq/anno per lo smaltimento dei rifiuti alimentari che produce. Ipotizzando, in accordo agli obiettivi di Sviluppo Sostenibile al 2030, una riduzione dello spreco alimentare del 50% rispetto alla situazione attuale e tenendo conto di un’ipotetica evoluzione degli impianti di trattamento dei rifiuti organici nel nostro Paese vocata al compostaggio e al trattamento integrato anaerobico/aerobico, è possibile calcolare una riduzione delle emissioni del 42% circa rispetto al 2020, con un valore annuale di impatto personale stimato in circa 2,26 kgCO2eq/anno.